La casa di Calogero a Melicuccà |
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"L'illusione non si mangia"
"Non si mangia, ma alimenta"
(Gabriel Garcia Marquez)
"Non si mangia, ma alimenta"
(Gabriel Garcia Marquez)
mercoledì 29 giugno 2011
La foresta del poeta
martedì 21 giugno 2011
Non c'è pace tra gli ulivi
Forse in tre. Magari tra i 20 e i 30 anni. Lo sprezzo negli occhi, la fretta nelle mani. 'Ndranghetisti o no, vuoi che almeno uno di loro non abbia avuto un nonno, un padre contadino, con la terra sempre sotto le unghie che non c'era mai verso di cacciarla? Vuoi che non gli sia mai capitato di annusare il fiato della campagna quand'è impastata con le bestemmie della fatica, l'attesa delle stagioni? La questione, a ben guardare, è dunque innanzitutto antropologica. Che il terreno fosse stato confiscato alle cosche della Piana ha il suo bel valore, certo. Come il fatto che vi lavorassero, onestamente e da uomini liberi, i ragazzi della Valle del Marro, una cooperativa di Libera Terra. Ma l'incendio appiccato l'altra sera all'uliveto di Castellace, ad Oppido Mamertina, interroga anche altre corde. Racconta di calabresi antropologicamente modificati che rivolgono le mani contro sé stessi. Che con leggerezza strappano, bruciano o svendono radici. Le nostre, e le loro. Il fumo nero che si è levato da quegli ulivi in fiamme lancia segnali disperati. Rispondiamogli.
Per saperne di più:
Valle del Marro
Libera
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Valle del Marro
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lunedì 20 giugno 2011
La Banda - una storia al contrario
La conferenza stampa della BandaFalò (foto Marco Costantino) |
La Banda può contare sulla complicità di una fitta rete di insospettabili e su una ramificazione internazionale dei propri affari. Il disegno criminoso del sodalizio villese, finalizzato al controllo di un tratto di spiaggia noto come Porticello (Villa San Giovanni), è stato perseguito avvalendosi di mezzi sofisticati, forza intimidatrice e vincolo associativo: un pezzo di costa rimasto per anni paradiso indisturbato di vecchi scaldabagni, frigoriferi e pattume vario, autentico tesoro di archeologia industriale, è stato incredibilmente deturpato da una bonifica del sito, da passerelle in legno per i portatori di handicap, da strutture mobili ed ecosostenibili, da cestini per la raccolta differenziata, e da un fitto cartellone di attività culturali. Il tutto con la massiccia complicità di intere famiglie, comitive di adolescenti, artisti e associazioni. Loschi figuri che a centinaia l'altra sera, in piazza a Villa San Giovanni, si sono mostrati a volto scoperto, manifestando solidarietà e propositi bellicosi contro i sigilli apposti al covo estivo dell'associazione. Da segnalare, tra i capi della Banda, tale signora Cesira (il nome potrebbe essere falso), vera ideologa del sodalizio e, con ogni probabilità, ispiratrice della sua ramificazione internazionale. Gli illeciti profitti estivi, infatti, sono stati investiti nel corso degli anni in un proficuo filone finanziario: l'edilizia pubblica africana. Scuole in Costa d'Avorio, dicono.
per saperne di più: www.bandafalò.it
venerdì 3 giugno 2011
I ragazzi di Spixana
Un libro non sai mai dove va. E’ un pensiero paralizzante, se solo ci pensi un po’. Tu scrivi, per esempio, di una strada in collina, con tutto l’armamentario di curve, lunghezza e fatica, dal primo passo nell’erba fino alla cima nel vento. E la strada che ti fa? cambia tracciato ad ogni sguardo, ad ogni lettore, punta verso dove non credevi, attraversa oscurità che neppure immaginavi. All’inizio, un po’ risentita, ci provi a riportarla sulla retta via, e spieghi, racconti, giustifichi. Poi capisci che è meglio godersi lo spettacolo. E chiedere alla strada di darti un passaggio. Qualche giorno fa mi ha portata tra i ragazzi di Spixana. Tipi impegnativi. Di quelli che davanti ad un calice di fiele hanno spesso chiesto il bis. Gente che il veleno e il dolore non gliel’ha mai guariti una poesia. E che se leggono di una strada in salita pensano a quella che stanno costruendo dentro di sè, scavando ogni singolo minuto di ogni dannato giorno perché il buio, se ti fermi, ti riagguanta sempre. Altro che ulivi di Giambartolo. Maurizio, un ragazzone con la faccia buona, per farla passare, la sua strada, sta provando a districarsi in un bosco fitto fitto di paure e debolezze. “E’ una questione di libertà”, ha ragionato a voce alta nella sala inondata di luce. Non mi sono chiesta se parlasse del mio libro o della sua battaglia. Degli arrovesciati del 1950 o dei ragazzi del 2011 che, come lui, dalla Comunità ci vogliono uscire finalmente da vincitori. Gli ho solo augurato di arrivare fino in cima.
La cartella di Lorenzo
La cartella di pelle. Quelli con la valigia di cartone l’avevano soppesata e interrogata a lungo sul treno per Milano. Il cappotto di una taglia più grande tradiva cose sapute: donne intente a stiracchiare la vita di stoffe invecchiate e traffici sottobanco di pantaloni e paltò perchè, per poterci morire di fatica, prima bisognava non morirci di freddo, lassù al Nord. La cartella di pelle, no. Quella andava a braccetto con gli occhiali grandi e le mani bianche e diceva di libri. Come le poche parole pronunciate a voce bassa con i compagni di viaggio che, meno si riconoscevano nel paesaggio dietro il finestrino, più urlavano nomi, patronimici e storie di famiglia per farsi coraggio. A lui, per farsi coraggio, bastava stringere la mano destra, serrarla sul manico della cartella e sentire rifluire, attraverso la pelle, le parole. Nel 1954 Lorenzo Calogero si presentò davanti al Duomo di Milano armato solo di quelle, e con l’aria da medico condotto stropicciato e assente con cui si accostava al letto dei malati. Curare la febbre degli altri non lo interessava. Era giunto a Milano per guarire dalla sua.
Ebbe il tempo di mettersi in posa tra i piccioni prima di capire che aveva sbagliato città, che Giulio Einuadi, a Torino, non l’avrebbe ricevuto e che il manoscritto inviato alla casa editrice era stato smarrito. Si aggrappò al delicato eufemismo della segretaria. Alla stazione ci arrivò di sera, salutando come un lusso semplice la fine del giorno.
Ebbe il tempo di mettersi in posa tra i piccioni prima di capire che aveva sbagliato città, che Giulio Einuadi, a Torino, non l’avrebbe ricevuto e che il manoscritto inviato alla casa editrice era stato smarrito. Si aggrappò al delicato eufemismo della segretaria. Alla stazione ci arrivò di sera, salutando come un lusso semplice la fine del giorno.
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