In piedi, Tiberio Bentivoglio |
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La sanitaria S.Elia |
REGGIO CALABRIA – Quattro colpi di pistola 7,65, impugnata nervosamente in una campagna coltivata a ortaggi. Il conto, a febbraio, gliel’hanno presentato così: di mattina presto, dove non te l’aspetti, di spalle. Solo che Tiberio Bentivoglio quel momento l’aveva messo probabilmente in conto da 19 anni, se l’era pure figurato in tutte le variabili possibili e, al primo proiettile che gli ha addentato il polpaccio, ha reagito tuffandosi dentro il furgone da cui era appena sceso; poi ha risposto al fuoco. La pistola custodita da anni nell’inseparabile marsupio gli ha in effetti salvato la vita, ma solo perché, prima di essere sguainata, ha intercettato il proiettile indirizzato alla schiena che avrebbe potuto ucciderlo, eliminando l’uomo e - quel che forse più contava - il suo pessimo esempio. “E’ inutile dire che non si ha paura, che la scelta di denunciare è immediata. Sono solo sciocchezze. Si pondera bene prima di mettere nero su bianco una denuncia. Solo che la paura viene vinta da un altro sentimento importante che si chiama disperazione. Che fai, cambi mestiere o cambi città? Non sono d’accordo. E così si arriva alla denuncia”. Cinquantotto anni, titolare della sanitaria “Sant’Elia” nel rione Condera di Reggio Calabria, un anno prima degli spari Tiberio Bentivoglio la sua scelta di ribellarsi al racket l’aveva raccontata così. Di lì a pochi giorni sarebbe stato il primo a ricevere il logo di “Reggioliberareggio”, la rete che come socio di Libera aveva contribuito a costruire per sostenere le vittime del pizzo, promuovere il consumo critico ed invitare alla denuncia i commercianti e gli imprenditori taglieggiati di Reggio Calabria.