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La freccia rossa che indica dove trovare Lollò punta costantemente in basso, verso la valle di querce, torrenti e sentieri franosi ai piedi di Pietra Cappa. Dal fazzoletto d’Aspromonte che per dieci anni ne ha custodito il corpo, la grande roccia che incombe su San Luca, però, non si vede, nascosta allo sguardo dal bosco fitto che circonda una croce e una lapide scarna. Di Lollò Cartisano - il fotografo di Bovalino rapito il 22 luglio 1993 e ucciso nel corso della prigionia con un colpo alla testa – c’è solo la data di nascita. “
Quella della morte non la conosciamo”, fa notare Deborah, tenendo in mano una pietra dipinta di fiori gialli. A terra, colorate di azzurro, verde e rosso, ce ne sono altre, portate in dono nel corso degli anni. “
Dieci anni dopo il rapimento abbiamo ricevuto la lettera di uno dei sequestratori che ci chiedeva perdono e ci indicava il luogo in cui mio padre era stato sepolto. Il cuore della ‘ndrangheta, duro come una pietra, si era sciolto nel pentimento. Tutto il nostro inferno era almeno servito a convertire un uomo delle cosche. Per questo abbiamo chiesto agli amici di portare queste pietre colorate, simbolo del miracolo realizzato da papà”. E per questo il cammino-pellegrinaggio con cui la famiglia ha deciso di ricordare ogni 22 luglio Lollò, si è trasformato nel corso degli anni da riservatissima questione privata in intenso momento comunitario, proprio come la messa officiata nella villetta di Bovalino marina dove il fotografo fu rapito insieme con la moglie Mimma Brancatisano (poi rilasciata). Quella casa oggi ospita minori a rischio. Nel segno della speranza e della condivisione di un percorso che, simile al paesaggio dell’Aspromonte, mescola asprezza e bellezza.
Quasi esito naturale di questa evoluzione, nel cammino di quest’anno su iniziativa di “Libera” il nome di Lollò Cartisano si è unito a quello di altre vittime di ‘ndrangheta, evocate dai cartelli piantati lungo il sentiero che da un pianoro sopra San Luca porta alla base di Pietra Cappa. Ad ogni stazione, un grano di dolore e una freccia puntata altrove ma non lontano. I nomi infatti erano quelli della Locride martoriata: Gianluca Congiusta, Giuseppe Tizian, Celestino Fava, Cecè Grasso, Rocco Gatto e Fortunato Correale. Una via crucis officiata da padri, madri, mogli che negli anni hanno spezzato il proprio isolamento, rotto il proprio silenzio. Certo, la mamma di Celestino Fava, ammazzato 13 anni fa nelle campagne di Palizzi, esce ancora raramente. “Vado solo al cimitero”. Ammette però che l’incontro con il dolore degli altri, e con la rete di sostegno per i familiari delle vittime tessuta da “Libera”, gli ha comunque cambiato la vita. “Ora ci sentiamo meno soli. Sappiamo che c’è qualcuno che ascolta e può capire”. Ad ascoltare, il 22 luglio, erano in tanti.
(apparso il 30 settembre 2009 su liberainformazione.org)
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