"L'illusione non si mangia"
"Non si mangia, ma alimenta"
(Gabriel Garcia Marquez)

mercoledì 27 luglio 2011

Grand Hotel Cengizhan

La posizione è felice. Scarsi, invece, i servizi. Forse è per questo che il Grand Hotel Cengizhan, con le sue stanze vista mare dal molo foraneo del porto di Crotone, non compare sulle guide turistiche. Il suo successo, partito tre anni fa, è legato esclusivamente al passaparola di un'affezionata clientela: migranti impastoiati nelle maglie della legislazione italiana, in attesa di un ricorso, di un'audizione, di un rinnovo, senza soldi per un altro tetto, lo hanno eletto a dimora del cuore. In fondo, a volerci ridere su, è come andare in crociera senza partire e pagare. Se solo dimentichi il puzzo di combustibile e di marcio, il caldo, gli stracci, la ruggine e i topi. Se dimentichi che stai sopra un mercantile turco che in Italia ne ha portati a centinaia come te, uomini che stavano ammassati, scambiandosi sudore e paura, in attesa della terra ferma. Se solo, infine, non pensi che la terra ferma l'hai sognata pure tu e credevi bastasse metterci i piedi sopra, alla fine di quella traversata da vomito, per raggiungerla. E invece stai lì a dormire in un barcone, a metterti in fila sul molo per il pranzo della Caritas, e a fissare il mare, la sera, dalla prua scrostata del Cenghizan.


lunedì 18 luglio 2011

Lo sguardo del piemontese

Alto, gracile e bianco com'era, ai bambini che razzolavano con maiali e galline, fuori e dentro il paese, dev'essere sembrato arrivare dalla luna. Erano cresciuti in mezzo ad una sola razza di uomini, quelli con la faccia nera un po' per il sole, un po' per la rabbia; quelli che gli occhi chiari ce l'avevano solo per la catarratta. Altro che forestiero. Arrivando ad Africo nel 1928, tra le case dirupate dal terremoto vent'anni prima, le donne con il gozzo, i vecchi ciechi e i pastori ricoperti di stracci, il piemontese Umberto Zanotti Bianco è un extraterrestre, il messaggero di un mondo con i calzini bianchi. Quando pianta in mezzo ai fichi d'india la sua tenda candida da esploratore aristocratico, cominciando ad annotare informazioni sui taccuini, quelli di Africo non sanno che pensare. In compenso con lo straniero hanno voglia di parlare, forse perché quello se ne sta lì, attento, in ascolto e, ogni tanto, affettuosamente sorridente. Tanto che pare gli interessi veramente se nell'attraversare il torrente senza ponte certi pastori si sono spaccati la testa, se con le capre non si campa più per colpa delle tasse, se non ci sono asili e, con sei ore di cammino ad andare e tornare lungo una mulattiera da fare spavento, manco i medici ci vogliono venire ad Africo. Nel ripartire si lascerà dietro un ponte costruito dal Genio civile, una riduzione delle tasse sugli ovini, un nuovo asilo e un dispensario per le medicine. Si lascerà, soprattutto, parole altissime su una terra "aspra e dolcissima, arida e lussureggiante, straziata e pur sempre rinnovata". L'aveva fatta parlare, la Calabria. E, anche se piemontese, l'aveva capita, visto che la qualità dello sguardo non è rilasciata con la carta d'identità. Ai suoi corregionali che invece con la Calabria hanno fallito non contestiamo, dunque, i natali ma solo di essere nati, o diventati con gli anni, comodi osservatori da scrivania.