"L'illusione non si mangia"
"Non si mangia, ma alimenta"
(Gabriel Garcia Marquez)

lunedì 10 maggio 2010

Calcio e 'ndrangheta: Libertas Rosarno, un titolo conteso

 
ROSARNO -Quando mi sono comprato il titolo del Rosarno, ti ricordi? Se ne è venuto con Gioacchino, per darglielo, per darglielo, per darglielo…io lo so che me la fanno pagare un giorno. Che questi non si dimenticano, ma io intanto non gliel’ho dato (…). Che cazzo me ne fotto. Gli devo dare il titolo, il titolo che avevo comprato, stiamo parlando di chi? Marcello gli ha detto: io gliel’ho venduto a Nino, io una parola ho, se Nino ve lo dà, ve lo dà. E io gli ho detto, non ve lo do, mi dispiace, se eravate venuti prima…”. Nell’ottobre del 2006, a bordo della sua Mercedes, Nino si sfoga. Le cose per la famiglia non vanno come dovrebbero. Colpa del vecchio suocero che “è troppo onesto”, così tanto che gli altri ne approfittano e li stringono in un angolo. Come nel 2002, con la questione  del titolo che Marcello aveva venduto a lui e Gioacchino pretendeva per sé. Pesanti controversie tra imprenditori del pallone? Non esattamente.
Nino è Antonino Princi, già presidente del Delianuova e poi azionista del Catanzaro calcio, dilaniato da un’autobomba piazzata sotto la sua auto nell’aprile 2008. Il suocero “troppo onesto” è lo storico capobastone di Castellace di Oppido Mamertina, don Micu Rugolo, settantenne con la testa imbiancata e una lunga sfilza di condanne per associazione ed estorsione. Marcello è Marcello Pesce, dell’omonima cosca della Piana di Gioia Tauro. La Libertas Rosarno di cui è presidente stravince il campionato regionale di Eccellenza 2001-2002 ma lui non è in campo a festeggiare: è latitante. Il parroco di Polistena don Pino Demasi nel 2005 denuncia senza mezzi termini: “Molti presidenti di squadre sono mafiosi o mettono i loro uomini di fiducia a dirigerle, prima o poi tanti ragazzi finiranno così al servizio delle cosche. Ci conosciamo tutti e sappiamo tutto di tutti nei nostri paesi, io dico solo quello che vedo e che possono vedere anche gli altri. Certo, non bisogna generalizzare ma la realtà è questa”. A quelle parole le società calcistiche e la federazione calabrese reagiscono sdegnate. L’allora presidente della Fgci Calabria, Antonio Cosentino, cade dalle nuvole:  “Che io sappia problemi di ‘ndrangheta non ce ne sono mai stati”.

venerdì 2 aprile 2010

Sant'Onofrio, la festa è finita

SANT’ONOFRIO –  Il priore della Confraternita del Santissimo Rosario deve avere la mano ferma. Nell’antica rappresentazione dell’Affruntata – la tradizionale processione della domenica di Pasqua a Sant’Onofrio, nel Vibonese – suo è il delicato compito di svelare la statua della Madonna in trepidante corsa verso il Figlio Risorto. E’ il momento più emozionante del sacro rituale: un errore, un’incertezza, il manto nero che incespica senza cadere completamente e un cattivo presagio aleggerebbe pesantissimo sull’intero paese, tremila anime raccolte a pochi metri dallo svincolo della Sa-Rc. La mattina del 4 aprile 2010, domenica di Pasqua e dell’Affruntata, le mani di Michele Virdò, 54enne autista delle Ferrovie della Calabria e dal 2006 priore della Confraternita, stanno tremando. Qualcuno nel corso della notte ha fatto il tiro a segno contro il suo portone di casa, lungo la strada provinciale, e pensando ai fori lasciati dai colpi di pistola Virdò si dichiara indisponibile a presenziare alla processione. Lo stesso, a stretto giro, fanno tutti i confratelli, per solidarietà nei confronti del priore, si dirà ufficialmente, per paura, penseranno tutti in paese: a don Franco Fragalà, parroco di Sant’Onofrio, non resta che avvisare il vescovo della diocesi di Mileto-Nicotera-Tropea, monsignor Luigi Renzo, che alla fine decide di sospendere la rappresentazione. Le statue della Madonna, di San Giovanni e del Cristo Risorto restano chiuse nella Chiesa del Santissimo Rosario, da sole, in attesa che qualcuno, in paese, trovi il coraggio di issarle sulle spalle. Una cosa mai successa nella storia del paese ma, soprattutto, un pericoloso cedimento di terreno ai picciotti dei clan che non lascia spazio a frantendimenti o interpretazioni di comodo. A Vibo Valentia il prefetto Luisa Latella non ci sta e sbatte il pugno sul tavolo: “Le statue sono pronta a portarle io, se necessario”. La Procura di Vibo Valentia e la Dda di Catanzaro aprono due diversi fascicoli d’inchiesta. La guerra dell’Affruntata è dichiarata.  

domenica 10 gennaio 2010

Il riscatto di Bovalino

In piedi, Deborah Cartisano
BOVALINO – Per benedire la consegna avevano scelto San Francesco da Paola.  Il dovuto “per passare un buon anno” andava lasciato sul lungomare, tra l’erbetta dell’aiuola alla base della statua del santo. Erano convinti che alle 17.00 del 31 dicembre a Bovalino, in quello spiazzo di fronte al mar Jonio, ci sarebbe stato solo il patrono del paese, con il bastone in mano, il cappuccio in testa e il viso reclinato in basso: un testimone muto. Ma davanti ai lampeggianti delle volanti che li circondano anticipando i fuochi d’artificio di Capodanno, i due ragazzi capiscono che muto, in quella storia, non c’è rimasto nessuno e non si capacitano. Il più grande ha 19 anni, nel lavoretto si è trascinato un sedicenne di Benestare, e si chiama Francesco Pelle: con il nome onora il santo calabrese, con il cognome dice San Luca e ‘ndrangheta, un binomio che per decenni ha depredato Bovalino di uomini e futuro contando sul silenzio delle vittime. Fino al 31 dicembre 2009.