"L'illusione non si mangia"
"Non si mangia, ma alimenta"
(Gabriel Garcia Marquez)

lunedì 24 novembre 2008

Fuoco su donne e bambini. E' la 'ndrangheta del disonore

Reggio Calabria - Il danno collaterale questa volta si chiama Francesco, ha 16 anni e un proiettile piantato nel cranio. L’altra mattina non è entrato in classe ma in coma; al posto del banco in terza fila, un letto nel reparto di Rianimazione degli Ospedali Riuniti di Reggio Calabria. Il fatto è che i colpi di pistola destinati al padre che lo stava accompagnando a scuola non si sono eccessivamente preoccupati della sua presenza. Forse l’avevano addirittura prevista e subito accantonata tra le variabili di poco conto. Figlio o non figlio, con Salvatore Melara, un pregiudicato di Palmi da poco uscito di galera, bisognava evidentemente chiudere i conti.  Che la missione sia stata compiuta lasciando Francesco mezzo morto sull’asfalto della provinciale per Polistena, per Pasqualina Zaccaria, preside dell’Istituto professionale per il Commercio frequentato dall’adolescente e madre di un undicenne ferito ad agosto in un altro agguato di ‘ndrangheta, conferma soltanto che “la Calabria è una terra persa”. Come tutte le terre in cui si spara ai bambini. Per errore, per rischio calcolato, per odio. Francesco non è l’eccezione alla regola, ma l’ennesima riprova che regole, dalle parti della ‘ndrangheta, non ne sono mai esistite. Men che meno scrupoli, nonostante i fasci di fiori che boss e picciotti depositano devotamente ogni settembre ai piedi della Madonna della Montagna, a San Luca. Nel solo 2008 la processione del disonore toglie il fiato. A giugno, sul lungomare di Melito Porto Salvo, la recita dei bambini dell’asilo con i genitori raccolti in piazza, davanti al santuario della Madonna di Porto Salvo, non ha risvegliato nessun comandamento morale in chi ha mirato contro il 50enne Francesco Borrello, mancando il bersaglio. Antonino, 4 anni, una pallottola in gola, è uscito dall’ospedale “Bambin Gesù” solo qualche giorno fa. Ad accoglierlo a Melito c’erano in lacrime centinaia di persone. A parlare con i carabinieri, subito dopo l’agguato, non c’era nessuno.

mercoledì 24 settembre 2008

Platì e Griffith, la 'ndrina dei due mondi

A Donald Bruce Mackay il nesso non era sfuggito. Tra i nuovi fiumi di mariujana che innaffiavano le strade di Griffith  e certi calabresi dalla cattiva fama che ne occupavano le case il rapporto di causa ed effetto era limpido come il cielo sui tetti del Nuovo Galles del Sud. I soli a non accorgersene erano i poliziotti della città, evidentemente persuasi a scambiare per lattuga gigante le vistose piantagioni di cannabis allestite nelle campagne circostanti. Per farsi ascoltare il deputato liberale arrivò quindi fino a Sidney e davanti alla polizia federale fece, con qualche difficoltà di pronuncia, i nomi di Roberto Trimboli, Antonio Sergi e Giuseppe Scarfò, tutti originari di Platì, tutti dal ragguardevole pedigree criminale. Il pomeriggio del 15 luglio 1977 di lui non rimase che qualche chiazza di sangue vicino alla macchina abbandonata nel parcheggio del Griffith hotel. Il corpo di Donald Bruce Mackay, 44 anni, non fu mai ritrovato e l’Australia scoprì la “N’dranghita” (sic). Trent’anni prima che con la strage di Duisburg lo facesse la Germania. Peccato che la ‘ndrangheta l’Australia l’avesse scoperta già da tempo.

lunedì 12 maggio 2008

Quei "cento passi" verso verità nascoste

Liliana Esposito Carbone
SOVERATO (CZ) - La foto del figlio, “un ragazzo di Locri”, attaccata al collo. I 44 mesi trascorsi dal suo omicidio caricati sulle spalle. Ma in corteo per le vie di una distratta Soverato - impegnata solo a guardare  sfilare i “Cento passi” della manifestazione antimafia voluta dai ragazzi dell’associazione “Metasud” - Liliana Esposito Carbone non ne sembra piegata, anche se l’ultimo colpo, l’archiviazione del caso, brucia ancora.
“L’ho saputo quattro mesi dopo, dai giornali”. Alla maestra di Locri, però, qualcuno deve aver spiegato che di più, considerate le carte in mano, era difficile fare. “Si rischiava di chiedere il rinvio a giudizio senza avere elementi solidi per arrivare in aula. E così i colpevoli sarebbero finiti assolti”, ragiona pragmaticamente Liliana, per tre anni impegnata a pungolare e raddrizzare indagini “partite tardi e male”. “Perché siamo a Locri, non a Garlasco o Perugia, e da noi il Ris arriva 14 giorni dopo. I nostri morti, evidentemente, sono meno rispettabili e rispettati”.